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venerdì 19 aprile 2024

Unifi: per non dimenticare il genocidio di Srebrenica

23-11-2015
"Un giorno in Irlanda un uomo vede un piccolo uccellino in una posizione strana, gli chiese che fai? E rimase stupito quando questi gli rispose che aveva assunto quella posizione perché qualcuno gli aveva detto che quel giorno il cielo sarebbe crollato e lui stava solamente cercando di sorreggerlo, stava facendo del suo meglio per salvare tutti. Ecco anche noi, nel nostro piccolo, dovremmo seguire l'esempio del piccolo animale perché infondo ognuno di noi è responsabile per la collettività". Con questa fiaba Patrizia Giunti, direttrice del Dipartimento di Scienze Giuridiche, venerdì 20 novembre ha inaugurato il convegno "A vent'anni da Srebrenica, la ricerca della giustizia". Due giornate nate dalla collaborazione tra Amnesty International e l'Università degli Studi di Firenze per tornare a riflettere su uno dei capitoli più bui della storia europea del Novecento. E per farlo ha chiamato a raccolta la voce dei sopravvissuti, esperti di diritto internazionale e soprattutto gli studenti per chiedere loro, attraverso la voce dell'assessore, Monica Barni, di mettere al centro delle loro vite il dialogo, visto come il solo mezzo capace di garantire che fatti del genere non si ripetano mai più.
La platea si è poi tuffata nella storia grazie all'intervento del professor Otto Spijkers dell'University of Utrecht. Nel 1992 la Bosnia dichiara guerra alla Yugoslavia, ma lo scontro, dopo aver ottenuto l'indipendenza, non si placa e questa volta si consuma proprio all'interno della regione tra musulmani e serbi ortodossi, appoggiati dal governo serbo di Slobodan Milosevic. Srebrenica, città posta nella zona orientale si proclama neutrale e preserva il suo carattere multiculturale per questo venne definita dalle nazioni Unite, che ne assunsero il controllo, 'zona protetta'. La sua quotidianità venne brutalmente interrotta l'11 luglio del 1995 quando, dopo giorni di combattimenti, le truppe serbo-bosniache di Mladic entrarono in città, senza incontrare l'opposizione dei caschi blu olandesi. Le donne, gli anziani ed i bambini vennero allontanati dalla città ed i giovani uomini catturati e condannati ad un atroce destino. Nelle 48 ore successive le esecuzioni continuarono senza sosta mentre i corpi senza vita si ammassavano gli uni sugli altri in fosse comuni.
Quest'anno sono passati esattamente 20 anni da quel tragico epilogo che oggi viene definito come "genocidio", come "la peggiore atrocità commessa in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale". Ma il tempo non ha curato le ferite di un popolo che ancora cerca giustizia, di una madre che ancora non ha un corpo a cui dare degna sepoltura. Colpa della NATO? Della Bosnia? Di tutte le altre potenze europee? Era una tragedia che poteva e doveva essere evitata? Tante domande che ancora non trovano una risposta ma a cui vorrei rispondere con le parole dell'articolo 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, proclamata dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948: “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita”. Un diritto inalienabile dunque, quello che ci lega alla Terra, che oggi all'indomani degli attacchi a Parigi, sembra diventare l'inno di ogni Stato democratico.
Lo sapeva bene Antonio Cassese, l'uomo a cui è stato dedicato il convegno fiorentino, che dedicò la vita a combattere contro ogni violazione dei diritti fondamentali delle persone, diventando primo presidente del Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia. 11 luglio 1995, 13 novembre 2015, dalla Bosnia a Parigi, l'Europa torna a stringersi in un immenso dolore, a ricordarlo è il rettore dell'Università di Firenze, Luigi Dei che, nell'edificio D15 del dipartimento di Scienze giuridiche, chiude il suo intervento invitando le generazioni future a riflettere ed a portare in alto valori importanti come la Fratellanza, l'Uguaglianza e la Libertà.

Per maggiori informazioni: www.unifi.it 

di Martina Viviani