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giovedì 28 marzo 2024

"Dolore sotto chiave" e "Sik-Sik" di De Filippo con Carlo Cecchi al Teatro Niccolini di Firenze

02-12-2021
Dal 2 al 5 dicembre 2021 al Teatro Niccolini di Firenze, in via Bettino Ricasoli 3/5, va in scena un dittico con la regia di Carlo Cecchi che riunisce due atti unici di Eduardo De Filippo: "Dolore sotto chiave" e "Sik-Sik l'artefice magico".

Dolore sotto chiave nasce come radiodramma nel 1958, andato in onda l’anno successivo con Eduardo e la sorella Titina nel ruolo dei protagonisti, i fratelli Rocco e Lucia Capasso. Viene portato in scena due volte con la regia dell’autore, con Regina Bianchi e Franco Parenti nel 1964 (insieme a Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello) per la riapertura del Teatro San Ferdinando di Napoli e nel 1980 (insieme a Gennareniello e Sik-Sik) con Luca De Filippo e Angelica Ippolito.
Lucia, sorella di Rocco, per molti mesi nasconde al fratello – nel timore che questi possa compiere un atto inconsulto – l’avvenuta morte della moglie Elena e finge di occuparsi delle cure della donna, gravemente malata. Lucia impedisce a Rocco di vedere la moglie, con la scusa che la sua sola presenza potrebbe causare emozioni che potrebbero esserle letali. Rocco, esasperato dalla interminabile agonia di lei, in una crisi di rabbia entra a forza nella stanza della malata e la scopre vuota. Lucia gli rivela l’amara verità: la moglie è morta da tempo, mentre lui era in viaggio per lavoro. Comincia qui un alternarsi di responsabilità e accuse fra i due fratelli; si presentano, non voluti da Rocco, i vicini, per sostenerlo nel lutto; infine Rocco rivelerà alla sorella i suoi segreti.
In Dolore sotto chiave torna in scena il tema della morte, affrontato da Eduardo in tante sue opere, in chiave comica, seria o semiseria: da Requie a l’anema soja, al primo atto di Napoli milionaria! fino al parodistico funerale dell’ultimo lavoro, Gli esami non finiscono mai. In Dolore sotto chiave questo tema non è poi così centrale come potrebbe sembrare, la morte non è la protagonista della vicenda. A tenere la scena non sono le conseguenze della morte di Elena, ma una vita che non è più vita proprio perché qualcuno ha deciso di sottrarre quell’evento alle sue leggi naturali. La morte fa il suo corso – sembra dire Eduardo – portando con sé un carico di lutti, ma all’uomo non resta che affrontarla, perché anch’essa fa parte della vita e cercare di negarla, di non riconoscerla, significa negare la vita stessa. E non c’è mostruosità peggiore, dice l’autore per bocca del suo personaggio, che bloccare il flusso naturale dell’esistenza, sostituire la vita vera con una artificiale e falsa, in cui anche i sentimenti, i dolori, le emozioni risultano paralizzati (I Meridiani, Einaudi)

Sik-Sik l’artefice magico, atto unico scritto nel 1929, è uno dei capolavori del Novecento. “Come in un film di Chaplin” – dice Carlo Cecchi – “è un testo immediato, comprensibile da chiunque e nello stesso tempo raffinatissimo. L’uso che Eduardo fa del napoletano e il rapporto tra il napoletano e l’italiano trova qui l’equilibrio di una forma perfetta, quella, appunto, di un capolavoro.” Sik-Sik (in napoletano, “sicco” significa secco, magro e, come racconta lo stesso Eduardo, si riferisce al suo fisico) è un illusionista maldestro e squattrinato che si esibisce in teatri di infimo ordine insieme con la moglie Giorgetta e Nicola, che gli fa da spalla. Una sera il compare non si presenta per tempo e Sik-Sik decide di sostituirlo con Rafele, uno sprovveduto capitato per caso a teatro. Con il ripresentarsi di Nicola poco prima dello spettacolo e con il litigio delle due “spalle” del mago, i numeri di prestigio finiranno in un disastro e l’esibizione si rivelerà tragica per il finto mago ma di esilarante comicità per il pubblico. Con più di 450 repliche solo a Napoli, lo spettacolo ebbe un successo enorme. Eduardo reinterpretò Sik-Sik alla fine della sua carriera; recitò per l’ultima volta al Teatro San Ferdinando di Napoli nell’aprile del 1979 e nel 1980, al Manzoni di Milano, affiancato dal figlio Luca e da Angelica Ippolito, si ritirò dalle scene dopo cinquant’anni di carriera. “Partecipai all’edizione del 1980” – ricordava Luca De Filippo in un’intervista – “Allora ero giovane, fu un momento bellissimo. Avevo già fatto parti importanti, ma nel ruolo di Rafele riuscii per la prima volta a far ridere mio padre”.

Per ulteriori informazioni e orari: www.teatroniccolini.com